Covarianti
talamocorticali di reti associate a rischio di schizofrenia
GIOVANNI ROSSI
NOTE E
NOTIZIE - Anno XXII – 17 maggio 2025.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Da decenni si accumulano
studi sulle differenze strutturali del talamo e della corteccia cerebrale nel
cervello dei pazienti affetti da disturbo schizofrenico. Le osservazioni che
hanno mostrato le differenze più rilevanti e significative tra psicotici e
neurotipici sono state condotte mediante risonanza magnetica strutturale e
metodiche associate per la valutazione delle connessioni, seguendo
principalmente il criterio delle misure volumetriche e dimensionali e, in via
subordinata, la considerazione della morfologia. In particolare, la maggior
parte di tali indagini ha esaminato il talamo nel suo insieme di
complesso nucleare, secondo il criterio classico della neuroanatomia descrittiva,
eleggendolo a “regione di interesse”. Questa impostazione degli studi non ha
finora prodotto risultati omogeni e conclusivi, soprattutto in rapporto alla
stima del rischio familiare.
Un nuovo studio, che elenca
84 autori con 50 provenienze da istituti scientifici di USA, Australia, Italia,
Spagna, Corea, Olanda, Germania, Regno Unito di Gran Bretagna, Singapore e
Svizzera, ha seguito un criterio di rete per studiare le alterazioni
talamiche, sia locali sia delle grandi proiezioni rientranti talamocorticali, e
verificare se esistono peculiarità morfologiche che configurano specifici
fattori di rischio familiare di sviluppare la schizofrenia.
L’indagine ha esaminato mediante
risonanza magnetica nucleare strutturale (MRI, da magnetic
resonance imaging) il cervello di 5.197
partecipanti provenienti da campioni di “ENIGMA consortium”, giungendo a
conclusioni interessanti.
(Lella A.
et al., Thalamo-cortical structural co-variation networks
are related to familial risk for schizophrenia in the context of lower nuclei
volume estimates in patients: an ENIGMA study. Biological
Psychiatry – Epub ahead of print doi: 10.1016/j.biopsych.2025.03.027, May 7, 2025).
La
provenienza degli autori è prevalentemente la seguente (un elenco completo avrebbe occupato varie pagine): Department of
Translational Biomedicine and Neuroscience (DiBraiN)-University
of Bari Aldo Moro, Bari (Italia); Department of Translational Biomedicine and
Neuroscience (DiBraiN)-University of Bari Aldo Moro,
Bari (Italia); Lieber Institute for Brain Development, Johns Hopkins Medical
Campus, Baltimore, MD (USA); Neuroradiology Unit, Scientific Institute for
Research, Hospitalization and Health Care, Casa Sollievo
della Sofferenza, 71013 San
Giovanni Rotondo, Foggia (Italia); Amsterdam UMC, Vrije Universiteit Amsterdam,
Department of Psychiatry, and Department of Anatomy and Neuroscience, de Boelelaan 1117, Amsterdam (Olanda); Tri-Institutional
Center for Translational Research in Neuroimaging and Data Science (TReNDS), Georgia Institute of Technology, Georgia State
University, Emory University, Atlanta, GA (USA); Lieber Institute for Brain
Development, Johns Hopkins Medical Campus, Baltimore, MD (USA); Department of Child
and Adolescent Psychiatry and Psychology, 2021 SGR 01319, Institute of
Neuroscience, Hospital Clínic Barcelona, Barcelona,
University of Barcelona, Institut d'Investigacions
Biomèdiques August Pi i Sunyer (IDIBAPS), CIBERSAM (Spagna); Section for Experimental
Psychopathology and Neuroimaging, Department of General Psychiatry, Heidelberg
University, Heidelberg (Germania); Division of Clinical Psychology and Sexual
Medicine, Department of Psychiatry, Social Psychiatry and Psychotherapy,
Hannover Medical School, Hannover (Germania); Department of Psychiatry,
Kyungpook National University School of Medicine, Daegu (Repubblica di Corea);
Department of Psychiatry, Kyungpook National University Hospital (Repubblica di
Corea); Department of Biomedical Engineering, Graduate School of Biomedical
Science and Engineering, Hanyang University, Seoul (Repubblica di Corea); Section
of Psychiatry - Department of Neuroscience, Reproductive Sciences, and
Dentistry, University School of Medicine Federico II, Napoli (Italia); Department
of Advanced Biomedical Sciences, University of Naples Federico II, Napoli
(Italia); Department of Electrical Engineering and Information Technology
(DIETI) - University Federico II, Napoli (Italia); Laboratory of
Neuropsychiatry, IRCCS Santa Lucia Foundation, Roma (Italia); School of
Psychology, University of New South Wales (UNSW), Sydney, NSW, Australia;
Neuroscience Research Australia, Randwick, NSW (Australia); Psychiatric
Hospital, University of Zurich, Zurich (Svizzera).
Come abbiamo fatto nel mese di gennaio e febbraio[1]
e altre volte lo scorso anno[2]/[3], cogliamo
l’occasione di questa recensione, sia per introdurre il lettore non specialista
agli aspetti essenziali della clinica e della neuropatologia della schizofrenia,
sia per integrare queste nozioni con alcuni aggiornamenti non ancora inclusi
nei manuali di clinica psichiatrica. Parte dei brani riportati di seguito sono
stati citati in Note e Notizie 09-03-24 Infiammazione nella patogenesi della
schizofrenia; mentre si è scelto di non riportare gli aggiornamenti di
genetica più recenti, per i quali si rimanda a due studi presentati nell’aprile
dello scorso anno[4]; più
avanti, in questo testo, si danno le indicazioni per introdursi alla genetica e
alla genomica della schizofrenia.
“L’approccio
clinico alla schizofrenia o psicosi schizofrenica prevede la
ripartizione delle manifestazioni in tre gruppi di segni e sintomi: positivi,
negativi e cognitivi. I sintomi positivi, ovvero produttivi,
e in particolare deliri e allucinazioni, sono i più sensibili ai trattamenti
con farmaci antipsicotici. Al contrario, i sintomi negativi, espressione
di deficit funzionali, quali povertà di linguaggio, negativismo, anedonia,
anaffettività, perdita di motivazione e riduzione della reattività emozionale,
insieme con un deficit cognitivo progressivo, sono i più resistenti al
trattamento, in quanto non possono giovarsi dell’effetto dei farmaci
attualmente in uso, che tendono a ridurre l’eccesso funzionale dopaminergico o
a riequilibrare altri neurotrasmettitori, ma non possono surrogare funzioni
deficitarie”[5]. Le basi
neurofunzionali dei sintomi al livello di sistemi neuronici sono studiate
mediante fMRI, riportando le funzioni alterate alle tre reti cerebrali principali: DMN (default mode
network), CEN (central executive
network), SN (salience network); ma questo tipo di
studi ha evidenziato alterazioni in tutte e tre le reti e nelle loro
interazioni in tutti i casi di schizofrenia.
Chi voglia introdursi alla neurobiologia del disturbo
può leggere: Note e Notizie 16-09-23 Appunti di neurobiologia della
schizofrenia; per la genetica: Note e Notizie 23-09-23 Appunti di
genetica della schizofrenia; Note e Notizie 21-10-23 Genomica della
schizofrenia e sue implicazioni.
A proposito della patogenesi: “La patogenesi della
schizofrenia rimane ancora indefinita, nonostante si siano acquisite nel
campo della fisiopatologia nozioni estese dall’ambito neurochimico a quello
strutturale, dal livello sinaptico a quello delle grandi reti neuroniche
dell’encefalo. La stessa genetica che, dal tempo delle analisi di associazione
del Psychiatric GWAS Consortium Coordinating
Committee (2009) si è arricchita di una quantità enorme di dati sui geni di
rischio, non ha fornito le indicazioni dalle quali si sperava di ricavare la ratio
di processi paradigmatici per l’eziopatogenesi di alterazioni probabilmente
eterogenee in termini molecolari, cellulari e di sistemi neuronici, ma
accomunate clinicamente da alcuni capisaldi sintomatologici.”[6]
Per inquadrare le nuove nozioni nell’evoluzione della
concezione della schizofrenia:
“La schizofrenia, che interessa l’1% della popolazione
mondiale, costituendo una delle maggiori cause di disabilità mentale, è la più
grave delle alterazioni psichiche che accompagnano l’intera vita di un paziente
psichiatrico, dall’esordio in età giovanile o all’inizio dell’età adulta fino
alla morte, di dieci anni più precoce della media nella popolazione generale.
La concettualizzazione di questo disturbo come malattia delle mente si deve al
grande nosografista tedesco Emil Kraepelin che, prendendo le mosse dal caso di
uno studente brillante diventato inabile per i compiti cognitivi più semplici
dopo la comparsa dei sintomi, identificò un piccolo gruppo di pazienti con un
simile decorso caratterizzato dalla perdita dell’intelligenza e, per questo
elemento che gli parve caratterizzante, propose la definizione diagnostica di demenza
praecox.
Era dunque ben presente l’aspetto relativo al limite
cognitivo, poi per decenni trascurato, soprattutto per l’influenza delle teorie
psicodinamiche sulla genesi del disturbo, che attribuivano a conflitti inconsci
lo sviluppo di un funzionamento mentale aberrante e non all’alterazione del
fondamento neurobiologico cerebrale, necessario anche per i più elementari
processi di estrazione di significato dai messaggi verbali, oltre che per
induzione, deduzione, riconoscimento di nessi di causalità e vincoli
condizionali.
Lo stesso Eugen Bleuler[7], che introdusse il termine
“schizofrenia” per indicare la frequente scissione (schizo-) nello psichismo
e, in particolare, la separazione del tono affettivo ed emotivo dalla
cognizione espressa nella comunicazione, aveva ben presente il difetto
intellettivo che peggiorava col progredire della malattia.
A quell’epoca, l’opinione degli psichiatri era concorde
nel ritenere questo quadro psicopatologico la conseguenza di una malattia del
cervello con una forte base genetica, e caratterizzata da un processo
patologico che si supponeva diffuso nel parenchima cerebrale, con particolare
compromissione della corteccia, ritenuta la base dei processi intellettivi.
L’unica possibilità esistente a quel tempo di studio del cervello consisteva
nell’osservazione necroscopica e nel prelievo autoptico di campioni di tessuto
cerebrale, per lo studio istologico.
Gli stessi padri fondatori della neuropatologia,
Nissl, Alzheimer e Spielmeyer, condussero ricerche istologiche post-mortem
sul cervello di pazienti schizofrenici, descrivendo apparenti alterazioni che
si rivelarono incostanti e non caratterizzanti[8]. In particolare, nel 1897 Alzheimer
segnalò una scomparsa locale di cellule gangliari negli strati esterni della
corteccia cerebrale; Klippel e Lhermitte (1906) descrissero zone di
demielinizzazione focale, il cui reale valore di reperto istopatologico fu
contestato, molto tempo dopo, da Adolf Meyer e poi da Wolf e Cowen. Anche
Buscaino in Italia (1921), capostipite di una famiglia di neurologi illustri,
compì studi neuropatologici sulla struttura del cervello schizofrenico,
descrivendo formazioni a grappolo, che si rivelarono poi artefatti di
preparazione del tessuto. Josephy (1930) descrisse una sclerosi cellulare e una
degenerazione grassa degli strati corticali, che non trovarono riscontro in
altri studi. Bruetsch, nel 1940, credette addirittura di aver rinvenuto dei
focolai reumatici nell’encefalo psicotico; sicuro della bontà e significatività
del reperto, postulò un ruolo eziologico per la febbre reumatica.
Nel 1952 Winkelman riscontrò nel cervello
schizofrenico una perdita diffusa di neuroni, ma furono sollevati dubbi circa
la significatività del reperto che si ritenne potesse essere stato generato
dalle procedure istologiche impiegate. Allora, nel 1954, Cécilie e Oskar Vogt[9], per superare questo problema,
allestirono uno studio che prevedeva un’accurata indagine seriale degli
emisferi cerebrali mediante sezioni sottili dello spessore di 8 μ in uno
studio controllato, in cui i reperti istologici dei cervelli dei pazienti erano
comparati con identiche sezioni del cervello di persone non affette da
psicopatologia e decedute per cause non cerebrali alla stessa età. I Vogt
trovarono in tutti i cervelli schizofrenici alterazioni assenti nei cervelli
sani, anche se la localizzazione, l’aspetto istologico e la densità variavano
da un caso all’altro. I tre reperti principali dei Vogt furono cellule
colliquanti (Schwundzellen), degenerazione vacuolare e liposclerosi.
Negli ultimi decenni, dopo oltre cinquanta anni
durante i quali la concezione neuropatologica della schizofrenia è stata
abbandonata in luogo di teorie eziologiche psicoanalitiche, relazionali e
comportamentali, si è tornati su più solide basi, fornite dalle metodiche di
neuroimmagine, dalla nuova genetica e dalle scoperte di neurobiologia
molecolare e neurochimica, a concepire le psicosi schizofreniche come
conseguenza di alterazioni del cervello[10]. Dalle differenze nel metabolismo
cerebrale, nell’espressione dei recettori, nelle dinamiche sinaptiche, negli
equilibri fra sistemi neuronici, nelle funzioni degli astrociti, fino a quelle
emerse dallo studio delle connessioni secondo i metodi del campo specializzato
della connettomica, si dispone di un’imponente raccolta di dati che individua
le basi cerebrali di una fisiopatologia, che non potrebbe essere spiegata nei
termini obsoleti della ‘reazione maggiore’, contrapposta alla ‘reazione minore’
costituita dai disturbi d’ansia”[11].
In passato abbiamo affrontato il problema allora
emergente dell’alterazione della funzione talamica nella schizofrenia[12]/[13].
A proposito dell’aver a lungo trascurato
in psichiatria i sintomi cognitivi, in parte coincidenti con alcuni sintomi
negativi della schizofrenia, due anni fa si osservava:
“La cultura che voleva caratterizzare
anche la distinzione fra la neurologia, come la branca medica che si occupa di
ictus, epilessie, tumori, traumi cerebrali, e così via, e la psichiatria, che
si occupa di ansia, fobie, attacchi di panico, depressione e disturbi con
deliri e allucinazioni, sollecitava l’attenzione sui sintomi “propriamente
psichiatrici” della schizofrenia, perché non si cadesse nell’errore di
considerarla una “demenza precoce” come era accaduto nell’Ottocento.
Probabilmente, questa enfasi eccessiva ha portato a trascurare per molto tempo
la considerazione e lo studio sistematico dell’indebolimento cognitivo”[14].
In realtà, nella clinica psichiatrica
del disturbo schizofrenico si distinguono sintomi
positivi, quali deliri e allucinazioni, sintomi
negativi, come l’anaffettività e il negativismo, e sintomi cognitivi, quali disorganizzazione del pensiero, linguaggio
soggettivo o inappropriato, deficit di attenzione e memoria, senza contare le
frequenti stereotipie di moto.
Per introdurre alle interpretazioni neuroevolutive dei
sintomi della schizofrenia correntemente adottate dagli psichiatri, mi rifaccio
a un articolo del 20 marzo 2021[15]:
“Due anni fa ho ricordato un modello neuroevolutivo
della schizofrenia[16] attualmente oggetto di insegnamento
in molte facoltà mediche di tutto il mondo e proposto per la prima volta da
Keshavan nel 1999: durante l’embriogenesi noxae
evolutive portano alla displasia delle strutture costituenti alcune specifiche
reti neuroniche, causando in tal modo i segni premorbosi cognitivi e
psicosociali; durante l’adolescenza, un’eccessiva eliminazione di sinapsi
determina un’iperattività dopaminergica fasica e precipita la psicosi. Keshavan
nota che, dopo la manifestazione clinica della malattia, le alterazioni
neurochimiche possono condurre a processi neurodegenerativi.
Il motivo del successo di questo modello è dato dal
‘sostegno’ ricevuto da numerose evidenze sperimentali. In realtà, si tratta di
una ricostruzione ragionevole e coerente con i dati dai quali è stata desunta,
e nulla esclude che sia corretta; tuttavia rimane troppo generica rispetto
all’esigenza di capire perché e come le ‘noxae’ causino una
displasia responsabile di quei sintomi precoci e perché si determini una
perdita di sinapsi che causa iperfunzione dopaminergica[17]”[18].
Ritorniamo allo studio
condotto dal consorzio ENIGMA, qui recensito. Gi autori, come abbiamo già
accennato, non hanno valutato il talamo isolandolo morfologicamente dalle sue
complesse connessioni reciproche con la corteccia cerebrale, ma hanno seguito
un criterio di rete per studiare le alterazioni talamiche, indagando i sistemi,
sia locali sia delle grandi reti rientranti talamocorticali, per verificare se
esistono peculiarità morfologiche che configurano specifici fattori di rischio
familiare di sviluppare la schizofrenia.
La procedura si è basata
sulla metodica della risonanza magnetica nucleare strutturale (MRI) per lo
studio dell’encefalo di 5.197 partecipanti così ripartiti: a) 1.531
pazienti affetti da schizofrenia, b) 257 familiari rientranti nei
criteri di “alto rischio per la schizofrenia”, c) 3.409 volontari
neurotipici fungenti da controllo. Le
scansioni provengono da 32 campioni cross-sectional
del consorzio ENIGMA.
Sono state condotte
meta-analisi random-effects e analisi di rete
su 1) alterazioni talamiche locali studiate mediante stima volumetrica di sette
nuclei del talamo; 2) alterazioni estese alle reti talamiche stimate come
spessore e pattern di co-varianza talamo-corticali e cortico-talamici
riferiti alla superficie, nel confronto fra i tre gruppi.
I volontari affetti da
schizofrenia hanno presentato stime di volume della materia grigia
significativamente inferiori a quelle rilevate nei neurotipici di controllo nei
nuclei talamici anteriori, mediali, posteriori, ventrali e pulvinar. In questi
rilievi, i parenti degli affetti dal disturbo psicotico non differivano dai
normotipici. Al livello delle reti estese, le co-variazioni corticotalamiche
distinguevano i parenti degli schizofrenici dai normali, presentando variazioni
che li ponevano in una posizione intermedia tra gli affetti dal disturbo e i
neurotipici, ossia i volontari normali fungenti da gruppo di controllo.
Sono poi state studiate
anche le variazioni nelle connessioni intrinseche della corteccia cerebrale. I pattern
di co-variazione cortico-corticale hanno rivelato che schizofrenici e loro
parenti condividono configurazioni di raggruppamenti di fibre similmente
disconnesse e, naturalmente, senza equivalenti nei volontari neurotipici, rappresentanti
le persone non affette e non a rischio di schizofrenia.
Concludendo, le valutazioni
basate sulle stime volumetriche dei nuclei talamici hanno evidenziato valori
più bassi negli schizofrenici, ma non nei loro familiari a rischio, non consentendo
di rilevare un tratto neuroanatomico di suscettibilità corrispondente allo
status di “familiare a rischio”. Al contrario, le co-variazioni talamocorticali
e corticotalamiche hanno fatto registrare pattern comuni a schizofrenici
e loro familiari a rischio. Tali risultati suggeriscono che i correlati
neurobiologici del rischio genetico di schizofrenia possono essere identificati
in elementi tratto-dipendenti delle reti talamocorticali.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle
recensioni di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-17 maggio 2025
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of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 25-01-25 Nella schizofrenia precoce identificati geni hub quali
biomarker immunorelati; Note e
Notizie 15-02-25 Scoperto il sostrato neurale dei sintomi negativi della
schizofrenia.
[2] Note e Notizie 18-05-24
Amigdala e sua covarianza nella schizofrenia; Note e Notizie 18-05-24
Stem olfattive come modello di disfunzioni nella schizofrenia, ecc.
[3] Note e
Notizie 26-10-24 La riduzione
di GluN ippocampale riproduce la schizofrenia.
[4] Si vedano: Note e Notizie
27-04-24 Espressione genetica corticale e rapporti con autismo e schizofrenia;
Note e Notizie 20-04-24 Determinanti genetici condivisi tra autismo e
schizofrenia.
[5] Note e Notizie 18-11-23 Reti alterate nella schizofrenia con sintomi negativi
persistenti.
[6] Note e Notizie 04-03-23 Il deficit di recettori H2 nella patogenesi della
schizofrenia.
[7] Sulla storia delle origini della
diagnosi di schizofrenia e sull’evoluzione del concetto in psicopatologia vi
sono numerosi riferimenti negli scritti pubblicati nelle “Note e Notizie”;
nella sezione “In Corso” sotto il titolo “La concezione dei disturbi mentali
nella storia” si può leggere una cronologia che, in brevissime sintesi
concettuali, elenca l’evoluzione che si è avuta nel concetto di malattia
mentale dalle prime tracce scritte, risalenti al 3400 a.C., fino ai giorni
nostri.
[8] Le nozioni storiche riportate di
seguito sono tratte da una relazione del nostro presidente; per le indicazioni
bibliografiche complete si veda in Silvano Arieti, Interpretazione
della Schizofrenia, in 2 voll., Feltrinelli, Milano 1978.
[9] Ai coniugi Vogt è intitolato un
istituto di ricerca nel quale è esposta un’interessante collezione di cervelli.
Oskar Vogt divenne celebre per lo studio del cervello di Lenin, nel quale
rilevò cellule piramidali giganti della corteccia di dimensioni notevolmente
superiori alla media.
[10] Sicuramente una parte non
trascurabile in questa evoluzione l’hanno avuta i numerosi istituti di ricerca
che hanno dedicato le proprie attività alla ricerca di correlati neurobiologici
dei disturbi mentali e le riviste, come Molecular Psychiatry, che hanno
consentito la diffusione della conoscenza di risultati che hanno modificato dei
punti di vista che resistevano da decenni.
[11] Note e Notizie 16-11-19
Trattamento cognitivo della schizofrenia. Si veda anche: Note e Notizie
07-12-19 Differenze in S100b tra persone affette da schizofrenia.
[12] Note e Notizie 17-03-21
Alterata funzione del talamo nella schizofrenia.
[13] Note e Notizie 03-07-21
Talamo anteriore nei difetti cognitivi di autismo e schizofrenia.
[14] Note e Notizie 27-02-21 Il
deficit cognitivo della schizofrenia è legato alla disbindina. Si veda
anche lo studio maggiore sui rapporti fra geni associati alla schizofrenia e
volume delle aree cerebrali sottocorticali: Note e Notizie 20-02-16 Influenze genetiche su schizofrenia e volume
sottocorticale. Per i rapporti con la morfologia si veda anche: Note e Notizie 21-11-15 Nella schizofrenia
la normale asimmetria emisferica è ridotta e alterata e Note e Notizie 14-02-15 Segni di schizofrenia che precedono i sintomi
per una diagnosi precoce.
[15] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo. Per questa
patogenesi si legga il testo integrale dell’articolo.
[16] Note e Notizie 16-02-19 Nella
schizofrenia la microglia riduce le sinapsi.
[17] È evidente la costruzione
deduttiva da dati e inferenze precedenti. Quando è stato proposto il modello,
il campo di studi della fisiopatologia della schizofrenia era ancora dominato
dall’ipotesi dell’iperfunzione dopaminergica, desunta dall’azione
anti-dopaminergica di fenotiazinici, butirrofenonici e altri neurolettici di
prima generazione efficaci nel ridurre deliri e allucinazioni degli
schizofrenici. Negli ultimi venti anni si è consolidata l’evidenza della
partecipazione di tutti i sistemi trasmettitoriali alla fisiopatologia, con una
prevalenza di interesse anche farmacologico per i sistemi neuronici a
segnalazione glutammatergica.
[18] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo.